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CONCERTO TRIBUTO

La Magical Mystery Orchestra invita il pubblico a un entusiasmante viaggio attraverso le intramontabili canzoni dei Beatles, interpretate con allegria, originalità e contagiosa energia. Oltre ad alcune tra le più celebri e amate canzoni del repertorio beatlesiano, il concerto include le canzoni che i Beatles non hanno mai eseguito dal vivo ma solo in studio di registrazione. Laddove fosse possibile, lo spettacolo può essere arricchito da una scenografia multivisiva ad opera dell’artista della multivisione Francesco Lopergolo www.fantadia.com e dalla partecipazione del coro Growin’ Up Singers, diretto da Paola Pascolo, formato da 60 ragazzi tra i 14 e i 25 anni.

THE LIFE IN A DAY

Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, l’ottavo album dei Beatles, non è solo il lavoro più conosciuto del gruppo britannico, ma è anche considerato uno dei più importanti dischi nella storia della musica pop e un capolavoro del Novecento. Il programma prevede l’esecuzione integrale dell’album Sgt. Pepper’s e una scelta di brani dello stesso periodo tratti dalla colonna sonora del film The Magical Mystery Tour, tra cui le celeberrime Penny Lane e Strawberry Fields Forever.

Golden Slumbers – Carry That Weight – The End (Teatro Toniolo)
Concerto Integrale al Teatro Toniolo
Prove Teatro La Fenice (1)
Prove Teatro La Fenice (2)
Concerto al Teatro La Fenice
Let It Be (Teatro La Fenice)

WHITE ALBUM

Un’occasione imperdibile per i fans dei Fab Four di immergersi nell’esecuzione integrale di questo capolavoro senza tempo, che ancora oggi non smette di sorprendere e affascinare.
Il White Album segna un’ennesima svolta nel percorso dei Beatles e nasce come vera e propria antitesi ai colori sgargianti e agli eccessi psichedelici i Sgt. Pepper’s. E’ un lavoro che lascia spazio all’anarchia musicale e alla provocazione, a cominciare dalla famosa copertina interamente bianca.
Coordinato, sballato, conciso e serrato, White Album è un’opera altamente ambiziosa che i Magical Mystery vogliono riproporre il più fedelmente possibile, rispettandone il carattere che la distingue, in bilico tra semplicità e asprezza.
Per ridare vita a quel fantastico microcosmo di sonorità e generi, dal rock’n’roll al vaudeville, alla pseudo-avanguardia, all’hard-rock, a ballate dal sapore classicheggiante, la formazione standard dei Magical Mystery (quintetto pop, quartetto d’archi e trio di fiati) accoglierà al proprio interno altri dieci musicisti.
Opera altamente ambiziosa, il White Album segna l’ennesima svolta nel percorso dei Beatles e nasce come vera e propria antitesi ai colori sgargianti e agli eccessi Psichedelici di Sgt Pepper e all’ottimismo della “Summer of love”, che l’anno precedente aveva visto il quartetto incidere All you need is love, un inno planetario all’amore. Nel Doppio bianco largo spazio è lasciato all’anarchia musicale e alla provocazione, a cominciare dalla famosa copertina, interamente bianca, con scritta in rilievo bianco su bianco. Un disco praticamente senza nome che assunse fin da subito il valore di una pietra miliare nell’intensa storia del decennio. Nel maggio 1968 i Beatles si ritrovarono a casa di George Harrison a Esher, nel Surrey, per registrare una demo dei pezzi che avevano composto separatamente negli ultimi mesi. Erano da poco tornati dalla trasferta a Rishikesh in India, carichi di esperienze e di canzoni create grazie al molto tempo libero a disposizione e alla particolare atmosfera di quel luogo. I brani prodotti erano ben trenta, per cui si fece subito strada l’idea di un doppio album, anche se il produttore George Martin era contrario. Le sedute di registrazione resero palese che, complice l’India, l’età, il successo o altro, i rapporti tra i quattro ragazzi erano cambiati. Ognuno di loro voleva esplorare le proprie capacità in autonomia e mostrare di avere un’identità indipendente. Il risultato fu un album non composto da un gruppo, bensì da quattro singoli artisti con stili e pensieri differenti. Diversi brani furono scritti e gestiti da un unico componente, che a volte si serviva degli altri tre come turnisti, a volte incideva da solo tutti gli strumenti e le voci. Lungo le trenta tracce del disco si snoda un lunghissimo e variegato viaggio in generi musicali diversi, dal rock psichedelico al country folk, dal jazz alla musica da camera, dal blues al rock and roll: ci sono brani costruiti utilizzando la tecnica del finger picking, che i Beatles avevano appreso in India da Donovan, tra questi, Dear Prudence, dedicata a Prudence Farrow, sorella della più famosa Mia Farrow, e Julia, la struggente canzone d’amore composta da Lennon per la madre morta quand’era ragazzino, in cui alle immagini poetiche dedicate alla mamma John sovrappone l’epiteto di “figlia dell’oceano”, significato giapponese del nome Yoko, la sua nuova compagna. C’è il rock pesante di Helter Skelter e c’è anche la prima canzone firmata da Ringo, Don’t pass me by; c’è l’irrisione al santone indiano di un Lennon disincantato, che appellandolo Sexy Sadie gli chiede come sia riuscito a ingannare tutti quanti. E c’è il testo dissacrante di Piggies di George Harrison, contro il materialismo dilagante in cui gli uomini vengono descritti come maiali che con forchetta e coltello mangiano il bacon. Vi si trovano inoltre riferimenti alle armi, alla felicità vista come “pistola calda” in Happiness is a warm gun Lennon, che di lì a dodici anni da una pistola sarebbe stato ucciso, agli impulsi suicidi di Yer Blues, ai fucili di uno bizzarro cacciatore, Bungalow Bill, alle sparatorie western di Rocky Raccoon. Ci sono i riferimenti al sesso, con l’esplicito invito di Paul in Why don’t we do it in the road?, ma anche al mondo giovanile confuso e in subbuglio, con Revolution di un Lennon interessato ma perplesso. Non mancano neppure amore e positività in questo disco, soprattutto grazie ai contributi di Paul McCartney, e c’è spazio anche per una preghiera a tutti gli effetti, Long, long, long, scritta da Harrison parlando con Dio, una ballata delicata e intensa, in cui la voce del chitarrista folgorato dalle religioni orientali dialoga con la batteria di Ringo. La penultima traccia del disco è il celebre collage sonoro della durata di oltre 8 minuti intitolato Revolution 9, un brano di musica sperimentale con grida e rumori alternati a fraseggi di pianoforte e alla voce di un dipendente della EMI che, testando un nastro, ripete la frase: «number nine, number nine…». Infine, la dolcissima ninna nanna Goodnight, composta da Lennon per il figlio di cinque anni Julian e ceduta alla voce calda di Ringo, accompagnato da un’orchestra volutamente sdolcinata e hollywoodiana.
Quello che i quattro realizzarono in quel 1968, in quasi cinque mesi di registrazione, determinò in parte inconsapevolmente la fine di un’epoca che i Beatles più di chiunque altro avevano incarnato: la favola di ottimismo e speranza degli anni Sessanta.

ABBEY ROAD – LET IT BE

Doppio progetto originale e molto ambizioso: i due ultimi capolavori dei Beatles, Abbey Road e Let It Be, riproposti nello stesso concerto, in occasione dei due anniversari 2019 e 2020.
Alcune delle canzoni più celebri dei due album fanno già parte da molti anni del repertorio più frequentato dai Magical Mystery, tra queste, Come Together, Here Comes the Sun, Because, il medley che chiude Abbey Road, formato da Golden Slumbers, Carry That Weight, The End, e ancora: Across the Universe, The Long and Winding Road, Get Back e Let It Be, canzone questa che, incisa il 4 gennaio del 1970, vide per l’ultima volta i Beatles insieme in uno studio di registrazione. Il concerto prevede l’esecuzione integrale dei brani, rigorosamente nell’ordine in cui compaiono nei due dischi e rappresenta un’occasione unica per far rivivere ai sempre numerosissimi fans dei Beatles l’ultima fase dell’incredibile parabola creativa dei Quattro.
Nato nella confusione e nella tensione dei loro ultimi giorni insieme prima dell’addio, Abbey Road segna un’ultima, magnifica collaborazione tra i quattro Beatles. È il culmine di sette anni incredibili che li hanno visti sempre a stretto contatto. In questo album raccolgono tutto il materiale che hanno lasciato in sospeso e lo trasformano nel loro monumento più brillante, uno dei punti più alti della loro formidabile carriera. La leggendaria foto di copertina venne scattata l’8 agosto: ritrae il celebre quartetto che se ne va dagli studi in cui ha passato migliaia di ore negli ultimi anni. Quando l’1 ottobre del 1969, Abbey Road esce nei negozi, la band non esisteva già più, sebbene la comunicazione ufficiale dello scioglimento arrivò solo il 10 aprile 1970, in contemporanea con l’uscita del primo disco da solista di Paul McCartney. L’8 maggio 1970, circa un mese dopo quella data, fu pubblicato Let It Be, il capitolo conclusivo dell’appassionante storia della band di Liverpool. Registrato quasi interamente in presa diretta, nel gennaio del 1969, fu improvvisamente interrotto per portare a termine Abbey Road.
Inizialmente concepito con il titolo Get Back, manifestava il desiderio del Quartetto di tornare alle origini, attraverso il recupero dell’originale impronta rock e dell’approccio live. Di conseguenza non erano previste né strumentazioni elettroniche, né sovraincisioni di alcun tipo, bensì la significativa collaborazione del tastierista jazz Billy Preston, che il gruppo aveva conosciuto nei primi anni Sessanta ad Amburgo.
L’idea di un album registrato dal vivo naufragò ben presto, trasformandosi in quella indimenticata performance tenutasi il 30 gennaio 1969 sul tetto dell’edificio di Savile Row, sede della Apple. Disinteressati al progetto Get Back, i Beatles lasciarono il missaggio delle tracce prima all’ingegnere della EMI Glyn Johns, successivamente al produttore americano Phil Spector che si occupò del lavoro di post-produzione, incurante di ricevere il consenso degli autori.
Let It Be raggiunse subito il 1° posto in classifica in tutto il mondo. Il disco fu seguito poco dopo dall’uscita dell’attesissimo film diretto da Lindsay-Hogg, il 13 maggio dello stesso anno.
Nessuno dei quattro presenziò alla prima del documentario, con il quale il mondo capì che i Beatles di dieci anni prima non esistevano e non potevano esistere più.